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Libro de la biblia

* Cita biblica

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Fecha de Creación (Inicio - Fin)

-

CREDERE, VEDERE, VIVERE

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Gv 6, 41-51

Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". E dicevano: "Costui non è forse Gesú, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?"

Gesú rispose: "Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.

Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo."

•••••••

La mente è irrequieta e, spesso, frettolosa. Come un cucciolo giocherellone, non smette mai di scorrazzare da una parte all'altra. Adora la distrazione e il protagonismo. Di solito produce piú di cinquemila pensieri in un solo giorno. E vuole sempre avere ragione... Per tutti questi motivi, non sembra strano che sia stata chiamata "la mente scimmia", sempre saltando da un luogo all'altro.

La mente genera l'io che, da buon figlio, ne assume come proprie le caratteristiche. Si crede separato da tutti e da tutto, vuole avere piú ragione di tutti, vive del confronto e lo scontro, e fa tutto il possibile per autoaffermarsi come centro del suo universo. Per sé stesso, l'io appare come qualcosa di solenne; visto da fuori, invece, risulta infantile e, quando si gonfia, patetico.

Tuttavia, c'è un altro modo di relazionarsi con la mente e quindi con l'io. Basta vedere la mente come ciò che realmente è, uno strumento -un "oggetto" in piú all'interno di quello che siamo-, perché possa cominciare ad aprirsi strada il riconoscimento della nostra identità piú profonda. In quel preciso momento, il proprio io avrà cominciato a dissolversi, sia nella sua presunta identità che nelle sue errate credenze di separazione.

E questo avviene quando l'attenzione "vince la corsa" ai pensieri. Un conto è pensare e un altro, ben diverso, sapere che si sta pensando. Al percepire e sperimentare questa differenza, abbiamo potuto accedere ad una maggiore comprensione: una cosa è il pensiero (la mente) e un'altra la Coscienza. E diventa possibile l'accorgersi che il pensiero è quello che abbiamo; Coscienza è quello che siamo.

Arrivati a questo punto, è possibile imparare a vivere, non piú nel pensiero -che useremo quando sarà necessario-, ma nell'attenzione. E riusciremo a percepire che la credenza nella nostra identità egoica ha ceduto il posto al riconoscimento dell'Identità non-duale, atemporale e illimitata, che realmente siamo.

E diventerà vero nella nostra vita ciò che recita un noto haiku:

Siediti in silenzio.
Non fare nulla.
Arriva la primavera
e l'erba cresce da sé.

Tutta questa introduzione mi è venuta leggendo gli interrogativi che si pongono quelli che ascoltano Gesú: "Costui non è forse Gesú, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?"

Poiché non è male che la mente si ponga degli interrogativi; grazie ad essi possiamo avanzare. L'errore sta nel credere che la risposta si trova in sé stessa. Ciò spiega che, sentendosi frustrata nelle sue pretese, squalifichi tutto quello che non ci sta dentro ai suoi ridotti parametri.

Per questo, mi sembra profondamente saggio l'atteggiamento di Gesú: "Non mormorate tra di voi". E cioè, non erigete la mente ad arbitro ultimo della realtà. Apritevi ad un'altra Sapienza piú grande, cui abbiamo accesso proprio nel momento in cui si fa tacere la ragione.

Questa Sapienza non è né credula né irrazionale. Stima e rispetta la mente -non rinuncia mai alla ragione critica-, ma la trascende. Davanti ad essa, la mente occupa il suo posto, senza altre pretese illusorie e nocive, e finisce per arrendersi alla Verità di ciò che è.

Questa Verità altro non è che la "vita eterna" di cui parla Gesú. I due termini, Verità e Vita, sono equivalenti e insterscambiabili. Sono dei nomi che mirano, nella povertà del linguaggio, al Mistero ultimo del Reale e quindi al nucleo ultimo della nostra propria identità, al Fondo comune di tutto ciò che è.

Non siamo degli "io" che hanno la vita per un certo tempo. Siamo Vita che si esprime in queste forme temporali e transitorie. Riconoscerlo è "credere", "vedere il Padre", "venire a Gesú", assaporare "il pane della vita"...

Quando leggiamo dei testi come questo a partire dalla mente, possiamo avere la sensazione di perderci fra tanti nomi e concetti, al punto che tutto può sembrare un immenso scioglilingua.

Quando, invece, la lettura si fa partendo da "un altro luogo", partendo dall'esperienza del Non-luogo dove tutto si trova, ci rendiamo conto che questa pluralità di parole e di espressioni non è altro che il risultato di voler balbettare la Realtà ultima, impossibile da afferrare.

A questo punto cessa la confusione. Abbiamo scoperto che la sapienza spirituale sta sempre parlando della "stessa cosa", qualunque sia il linguaggio, il punto di riferimento o "l'idioma" che adoperi.

Le sue parole non hanno la pretesa (illusoria) di informarci sul Mistero, ma quella di risvegliarci alla Realtà che già siamo ma dalla quale siamo spesso sconnessi.

È comprensibile che, secondo i diversi profili psicologici, ci siano delle parole, per ciascuno, piú evocative di altre. Ma tutte sono solamente quello: evocazione, segnali che mirano alla Realtà che trascende ogni parola ed ogni concetto. Realtà che non può essere pensata neanche formulata in modo adeguato, come ricorda magistralmente uno dei primi testi spirituali: "Il Tao che si può conoscere non è il vero Tao...; il Tao di cui si può parlare non è il vero Tao...; colui che conosce il Tao, non conosce il vero Tao" (Tao te Ching).

Non è possibile conoscere -neanche nominare- il Mistero; unicamente lo si può essere. Ed è allora, essendolo, quando lo si conosce, con l'evidenza e la gioia che scaturiscono dalla Realtà stessa.

È quello che siamo, e che siamo sempre stati. Risvegliarsi è farlo cosciente e vivere in connessione con Esso.

 

Enrique Martínez Lozano

Traducción de Teresa Albasini

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